L’EVOLUZIONE DEL TAX WHISTLEBLOWING: DAL CONTRASTO ALL’EVASIONE FISCALE INTERNAZIONALE ALLA PREVENZIONE DELLA PIANIFICAZIONE FISCALE AGGRESSIVA
Università degli Studi di Milano
DOI: http://dx.doi.org/10.46801/2595-6280-rdta-45-30
I più recenti scandali finanziari (LGT, UBS, HSBC, LuxLeaks, Panama Papers) hanno fatto emergere fenomeni di evasione e frode fiscale internazionale di proporzioni inimmaginabili e sono scoppiati grazie al ruolo giocato nell’ombra dai tax whistleblowers, versione moderna delle spie di altri tempi il cui agire si è sempre retto sul precario equilibrio tra i contrastanti sentimenti di biasimo e di ammirazione. Ma la morale non è in grado di discernere i confini tra interesse pubblico e interesse individuale e spinge affinché la legge trasformi magicamente il vizio della delazione nella virtù di una segnalazione, nobiliti una facoltà avvolta nell’incertezza delle sue conseguenze in un diritto meritevole di protezione giuridica. Nel diritto tributario addirittura la protezione del diritto di segnalare le patologie finanziarie è stata preceduta da un vero e proprio dovere, altrimenti sanzionabile, di informare la Pubblica Autorità su sospetti di evasione e frode fiscale nazionale ed internazionale. E poiché la dimensione globale di quella evasione interpretativa che è la pianificazione fiscale aggressiva sta assumendo proporzioni senza precedenti, si rende necessario estendere gli obblighi di segnalazione addirittura in prevenzione di questo nuovo disvalore sociale. Tutto questo comporta dal punto di vista morale una diversa percezione delle libertà individuali, e dal punto di vista giuridico un diverso rapporto Fisco contribuente, su cui è bene cominciare ad interrogarsi.
DELL’UOMO; WHISTLEBLOWING
INTRODUZIONE
Giuda Iscariota è certamente lo spione più famoso della storia dell’umanità, e lo fece per trenta monete d’argento che non risulta furono mai tassate. Il risentimento nei suoi confronti è nel fatto che denunciò una persona umile ma onesta, e non un fatto illecito. Ma non è sicuramente l’unica gola profonda nella storia dell’umanità perché lo spionaggio e la delazione (che fanno pendant con il tradimento) sono pratiche antiche ma sempre di grande attualità, esse vanno a braccetto anche con chi si occupa di diritto tributario costringendolo ad esplorare nuovi confini.
L’occasione di approfondire l’argomento è offerta dalla recente approvazione della direttiva UE 23 ottobre 2019 n. 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e che rappresenta in ordine temporale l’ultimo tassello della trasformazione di un vizio (quello dello spione, oggetto di sdegno sin dai banchi di scuola per il carico di disvalore sociale che gli si attribuiva anche quando esercitava l’arte per una giusta causa) in una virtù (quella del segnalatore) meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico allorquando intercetta ogni tipo di malversazione relativa alla spesa pubblica ed al benessere della collettività.
Lo scopo del presente saggio è quello di ripercorrere l’evoluzione della figura del segnalatore e della sua disciplina, in inglese whistleblower e whistleblowing, con particolare riferimento alle segnalazioni di condotte illecite di natura tributaria, le cui diverse declinazioni, quella internazionale, comparata, europea, ed italiana, vivono in quella che potrebbe essere definita una osmosi cronologica molto di più di quanto si possa osservare in altri istituti giuridici.
Il punto di partenza della presente analisi è che le segnalazioni nel diritto tributario devono essere inquadrate tra gli strumenti di contrasto ai fenomeni di evasione e frode fiscale, a tutela dell’interesse fiscale, mentre il punto di arrivo è rappresentato dal loro utilizzo anche per fare fronte agli illeciti, non più penali ma amministrativi, quali quelli legati alla pianificazione fiscale aggressiva, che hanno assunto una preoccupante dimensione nella finanza pubblica internazionale alla luce della digitalizzazione dell’economia. Si tratta di una espansione del diritto tributario verso principi e ragionamenti tipici del diritto penale che potrebbe legittimamente costituire una appropriazione indebita ma che entro i confini tradizionali del proprio orticello pone più di un interrogativo sulle conseguenze del rapporto Fisco contribuente nonché sulla proporzionalità tra mezzi e obiettivi2.
In particolare, le segnalazioni si possono suddividere in due categorie, le segnalazioni obbligatorie e quelle facoltative, entrambe accomunate da una origine internazionale, certamente non italiana. Alcuni eventi hanno infatti segnato l’evoluzione e la circolazione di tale modello giuridico che ha finito con l’adagiarsi nei vari ordinamenti assumendo la fisionomia più consona al tipo di società civile che incontrava. A titolo esemplificativo, si pensi alla caduta delle torri gemelle che ha segnato la svolta nel contrasto al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo internazionale, rendendo le segnalazioni obbligatorie in tutto il mondo, così come si pensi ancora ai successivi scandali finanziari internazionali che hanno indotto diversi legislatori a ragionare sulla soluzione del tax whistleblowing facoltativo, a partire da quelli del mondo anglosassone.
Invece sono diverse le ragioni per cui questo strumento ha faticato ad affermarsi spontaneamente nel diritto tributario italiano. In primo luogo, il contesto sociale e culturale di riferimento non rappresenta terreno fertile per tali informazioni, la percezione dell’interesse erariale come di un bene collettivo prioritario rispetto all’interesse individuale è sempre progredita con fatica. In particolare, le segnalazioni facoltative da parte dei privati cittadini degli elementi esteriori della ricchezza di qualcun altro lasciano il tempo che trovano in quanto sono tendenzialmente già patrimonio acquisito dell’Amministrazione finanziaria, che deve solo lavorarli, e nella maggioranza dei casi sarebbero attinenti a fenomeni di evasione per importi scarsamente significativi, anche se drammaticamente diffusi. Il riflesso complementare di tale osservazione è che le uniche segnalazioni che finora hanno contato sono quelle qualificate più da lettere anonime che da denunce (ad esempio, ex dipendenti, fornitori e/o clienti compiacenti) e sono relative a patologie delle grandi organizzazioni aziendali che però nel nostro sistema non rappresentano la maggioranza dei contribuenti3.
L’analisi sarà condita con i fatti di cronaca che hanno contribuito a determinare nell’opinione pubblica internazionale, anche attraverso il risalto mediatico internazionale (il pensiero va alle inchieste dell’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) pubblicate in contemporanea su diverse testate giornalistiche, e a quelle del gruppo di pressione britannico di origine accademica Tax Justice Network), la coscienza di un intervento sul tema e che si è conseguentemente tradotta in atti legislativi multilivello. Si è scelto metodologicamente di partire dal diritto comparato, proseguire con il diritto europeo e infine atterrare nel diritto tributario italiano, approfondendo il nuovo confine
tra diritto e morale nella lotta alla frode, all’evasione e finanche all’elusione fiscale. Anche in Italia, seppure in ritardo, si è passati da una connotazione socialmente negativa del segnalatore, tutt’uno con lo spione, che di fronte alla denuncia di un illecito era titolare di una facoltà non protetta dall’ordinamento giuridico, al riconoscimento del suo comportamento come di un diritto meritevole di tutela, che si va ad affiancare al meritato rispetto di chi era già titolare di un dovere giuridico, quello di esercitare l’obbligo della segnalazione, altrimenti sanzionabile. A differenza di altri rami dell’ordinamento giuridico, infatti, nel diritto tributario il dovere di pochi di segnalare gli illeciti ha preceduto il diritto di tutti coloro che lo fanno ad essere tutelati.
Insomma, la morale cede un altro passo alla legge come strumento regolatore del vivere quotidiano, con inevitabili conseguenze anche sul nostro modo di pensare e di ragionare, sempre più rigido e schematico, e all’interno del diritto, quello tributario importa pensieri e ragionamenti tipici del diritto penale, se non addirittura ne tenta la conquista dei confini.
SEGNALATORI PER CONVENIENZA E SEGNALATORI PER CONVINZIONE Per quanto la storia antica annoveri innumerevoli esempi sull’argomento4, è soprattutto quella contemporanea che offre i casi più emblematici sui quali l’opinione pubblica ha
reagito in una misura tale che ha reso necessario l’intervento del potere legislativo. E non
è un caso che la gran parte di questi affaire, riportati mediaticamente come scandali, siano accaduti quando la scienza e la tecnica digitale hanno iniziato il loro predominio in virtù del quale il cambiamento del mezzo determina il cambiamento dello scopo5.
Se ne esamineranno cinque in ordine cronologico, cominciando dallo scandalo della banca LGT del Liechtenstein fino alla più recente inchiesta Panama Papers su cui, ironia del capitalismo, Netflix, icona della detassata economia digitale, ha anche prodotto un film6.
Heinrich Kieber, di professione tecnico informatico, fu incaricato dalla LGT del Principato del Liechtenstein di digitalizzare l’archivio cartaceo della banca, e nel farlo pensò bene di riversare i dati dei clienti, principalmente europei e russi, su dei DVD che ha venduto ai servizi segreti tedeschi per l’importo di 6 milioni di euro (assoggettati a tassazione in Germania con una ritenuta alla fonte del 30 per cento). La sottrazione dei dati risale al 2002, lo scandalo invece è del 2008 e colpì l’opinione pubblica tedesca inducendo il presidente di Deutsche Post, Klaus Zumwinkel, incluso nella lista per un conto non dichiarato da 1 milione di euro, a dimissioni immediate. Anche in Italia la lista fu oggetto di divulgazione
Una lista più esaustiva è nel paper di T. Porter e K. Ronit, Whistleblowing as a New Regulatory Instrument in Global Governance: The Case of Tax Evasion, in https://www.ippapublicpolicy.org/file/paper/59396a7198722.pdf.
mediatica e di attività di accertamento da parte dell’Agenzia delle entrate e diverse Procure della Repubblica. Heinrich Kieber è stato processato in contumacia dalle Autorità del Principato, ha pubblicato le sue memorie e pare si sia rifugiato in Australia sotto identità di copertura fornita dai tedeschi7.
Mentre scoppiava lo scandalo LGT nel 2008, ne montava un altro di dimensioni ben più imponenti per mano di Bradley C. Birkenfeld, banchiere americano della filiale di Ginevra di UBS, come ritorsione verso la banca svizzera, a suo avviso colpevole di avere tacitamente introdotto al suo interno delle raccomandazioni su come gestire la clientela americana dopo i proclami di guerra ai paradisi fiscali lanciati dall’Amministrazione Obama, tenendo all’oscuro i banchieri direttamente interessati, in modo da continuare a guadagnare laute commissioni ma da prendere le distanze in caso di scandalo. Attraverso il download di migliaia di dati consegnati alle Autorità americane, Bradley Birkenfeld ha aderito al programma di tax whistleblowing che ha consentito all’Internal Revenue Service di recuperare oltre 15 miliardi di dollari sottratti ad imposizione, lui ha incassato un premio (lordo) di 104 milioni di dollari che però ha potuto godersi solo dopo avere scontato 30 mesi in una prigione federale richiesti e ottenuti dal Dipartimento di Giustizia per concorso in evasione e frode fiscale internazionale insieme con la banca, a sua volta sanzionata con una multa di 780 milioni di dollari8.
Più romantica è invece la storia di Hervè Falciani, ingegnere italiano naturalizzato francese che nel 2010 ha sottratto in download dati di 130.000 conti correnti riconducibili a 80.000 persone di 180 Paesi della filiale svizzera della banca HSBC, una cui parte ha composto la “lista Lagarde” (in quanto inviata all’allora Ministro del tesoro francese Cristine Lagarde), mentre la quota parte italiana è nota come “lista Falciani”. L’obiettivo dichiarato da Falciani non era quello di ricavare un profitto dalla sua segnalazione, bensì di contribuire a diffondere la cultura dell’adempimento degli obblighi tributari a livello internazionale9. Nel 2015 il Tribunale di Bellinzona lo ha condannato in contumacia a 5 anni di reclusione per spionaggio economico, mentre nel 2019 la banca è stata condannata in Francia e Belgio a oltre 350 milioni di euro di multa per concorso in evasione e frode fiscale internazionale.
Sempre nel 2010, il professionista francese Antoine Deltour della filiale lussembughese della società di revisione PwC, effettuava un accesso al sistema automatizzato di
elaborazione dei dati dell’azienda per sottrarre gli accordi fiscali conclusi tra la PwC e l’Amministrazione finanziaria lussemburghese per conto dei clienti PwC, e li consegnava al giornalista Edouard Perrin che attraverso il Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICJI) nel 2014 amplificò l’accaduto da cui lo scandalo LuxLeaks, con profondo imbarazzo dell’allora neo Presidente della Commissione Europea Jean Claude Junker che all’epoca dei fatti era Primo Ministro del Granducato. Antoine Deltour, prima condannato per furto nazionale di documenti, accesso fraudolento al sistema automatizzato, divulgazione di segreti aziendali del datore di lavoro, violazione del segreto professionale e riciclaggio di denaro tramite detenzione e uso, con conoscenza della loro origine fraudolenta, degli stessi documenti, è stato poi assolto sulla base della giustificazione derivata dallo status di informatore.
Infine, lo scandalo Panama Papers dal nome di un fascicolo riservato digitalizzato e composto da 11,5 milioni di documenti confidenziali per oltre 2,6 terabyte sottratti da una gola profonda (convenzionalmente individuato con il nome di John Doe) dello Studio legale panamense Mossak e Fonseca. Tale fascicolo fornisce informazioni dettagliate fin dagli anni settanta su oltre 214.000 società offshore, includendo le identità degli azionisti, tra cui compaiono imprenditori, leader politici, funzionari pubblici, stretti collaboratori e loro parenti, di oltre 40 Paesi. La raccolta è stata consegnata al giornale Süddeutsche Zeitung nell’agosto 2015 e da questo conseguentemente all’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) attraverso format ed email criptate. I fascicoli sono stati distribuiti ed analizzati da circa 400 giornalisti di 107 organizzazioni informative di oltre 80 Paesi. Il primo report basato sul congiunto di documenti è stato pubblicato, assieme a 149 dei documenti stessi, il 3 aprile 2016. Per la vastità e la gravita del fenomeno, senza precedenti, il Parlamento Europeo nel giugno 2016 decise di istituire una Commissione d’inchiesta composta da 65 euro deputati con il compito di indagare sulle presunte violazioni e sui casi di mancato rispetto, da parte della Commissione o degli Stati membri, delle norme europee in materia di riciclaggio, elusione ed evasione fiscale10. Nel 2019 Netflix vi ha addirittura prodotto un film con importanti attori, e la curiosità di sapere se nel corso
della loro vita di contribuenti, o di amici di contribuenti, fossero direttamente interessati alla vicenda, non sarà mai soddisfatta11.
Naturalmente tutti questi episodi sono quelli che per dimensione digitale e mediatica hanno assunto un clamore di portata storica, ma tanti altri ve ne sono, e ve ne saranno, sotto le punte di questi iceberg. Ciò che merita di essere enfatizzato è che tali evidenze empiriche possono anche essere il frutto di condotte illecite da parte degli stessi protagonisti (tutti stranieri rispetto al loro datore di lavoro e ancora degradati al rango di spioni o delatori) ma la pressione morale che essi sono stati capaci di promuovere nell’opinione pubblica, ognuno con le proprie giustificazioni etiche, è stata tale da condurre al superamento giuridico del loro comportamento come illecito, fino a trasformarli in segnalatori12.
PROFILI DEL TAX WHISTLEBLOWING NEL DIRITTO TRIBUTARIO COMPARATO
In linea di principio è dato osservare che alla base di ogni modello di whistleblowing istituito negli ordinamenti presi come riferimento per approdare alla disciplina del tax whistleblowing, il metodo è quello di misurare empiricamente il grado di tutela degli interessi meritevoli di protezione giuridica, per addivenire al loro bilanciamento con conseguente giudizio di prevalenza gerarchica. Si scopre pertanto che l’essenza dell’istituto parte sempre dalla necessità di rinforzare la tutela dell’interesse pubblico alla scoperta e alla repressione degli illeciti penali, a scapito della tutela dell’interesse privato alla riservatezza, il che rappresenta un segno tangibile dell’obiettivo di migliorare il grado di civiltà del vivere collettivo e la conseguente regressione dell’individualismo13.
Indubbiamente, anche a perseguire il medesimo scopo ovvero il contrasto a qualsivoglia ipotesi di evasione o frode fiscale, ogni ordinamento ha mostrato un approccio diverso al fenomeno del tax whistleblowing prevedendo solo in tempi recenti dei meccanismi di tutela del segnalatore, influenzati da fattori politici, sociali, storici e culturali del Paese stesso14.
Il whistleblowing, inteso quale generale strumento di contrasto ai fenomeni corruttivi, trae le sue origini nei sistemi di common law, in particolare, le premesse di tale disciplina sono da ricercare nel False Claims Act statunitense del 1863, uno degli esempi più risalenti di tutela per i soggetti denuncianti, soprattutto con riferimento alle malversazioni sulle spese militari, all’epoca quelle della guerra civile.
L’ordinamento statunitense non presenta una disciplina organica e uniforme in questo ambito, bensì una pluralità di fattispecie, afferenti tanto al settore pubblico quanto a quello privato. Tale fenomeno può essere interpretato come lo sviluppo inevitabile di numerosi casi di frode e truffa che hanno danneggiato nel corso dei decenni le istituzioni e le attività economiche americane, rischiando talvolta di generare gravi condizioni di instabilità sociale ed economica. Per questo motivo, la disciplina è stata di volta in volta estesa ad un numero crescente di settori, da quello della sanità a quello della salvaguardia dell’ambiente, ed è stata più volte oggetto di modifica, l’ultima delle quali risale al famoso scandalo finanziario Enron15.
La normativa ha individuato sette condotte che configurano la responsabilità dell’agente ed in particolare, è sancita la responsabilità di coloro che intenzionalmente presentano o inducono a presentare, o semplicemente tramano di farlo, documentazioni o dichiarazioni mendaci al Governo allo scopo di percepire illegittimamente una somma di denaro o di evitare di pagare un dato importo. La finalità della legge non è, comunque, quella di punire errori marginali, bensì sanzionare la commissione di frodi sistematiche che comportano gravi perdite economiche per il Governo; infatti essa prevede che il responsabile dell’infrazione agisca dolosamente ovvero, presenti documentazioni e certificazioni con la consapevolezza che siano fallaci o nella deliberata ignoranza se siano veri o falsi16.
La procedura prevista dal False Claims Act prevede che un privato cittadino detto “relator” possa intentare, privatamente o a nome del Governo, una cosiddetta Qui tam action nei confronti di coloro che tentino di defraudare il Governo17.
Una volta ricevuti gli atti concernenti la denuncia, il Governo ha 60 giorni a disposizione per effettuare i dovuti riscontri e per comunicare all’Autorità giudiziaria l’intenzione di sottoporre la questione alla verifica giudiziale o di non prendervi parte. In quest’ultimo
caso, il segnalatore può liberamente portare avanti l’azione a nome proprio, fermo restando il diritto del Governo a rimanere informato sull’andamento del processo e ad intervenire in futuro qualora la Corte lo ritenga necessario18.
Essendo tale legge un potenziale strumento a disposizione del Governo per tornare in possesso di consistenti quantitativi di denaro, è previsto un meccanismo premiale in favore del segnalatore.
Gli incentivi economici risultano più sostanziosi e variano a seconda che il procedimento sia portato avanti dal Governo o dal segnalatore. Qualora il Governo decida di intervenire, il segnalatore ha diritto a ricevere un premio compreso tra il 15 e il 25 per cento della somma recuperata grazie alla Qui tam action; nel caso opposto, il segnalatore ha diritto ad una quota oscillante tra il 25 e il 30 per cento19.
La consistenza dell’incentivo dipende in particolare dall’entità e dalla rilevanza del contributo fornito dal segnalatore per lo svolgimento dell’azione legale: ad un contributo maggiore corrisponde, pertanto, una remunerazione più corposa. Gli intervalli nei quali il premio è compreso non si applicano, però, a tutte le tipologie di informazioni e di segnalatori, ed infatti, l’importo può essere fino alla misura massima del 10 per cento nel caso in cui l’azione si fondi su precedenti rivelazioni pubbliche, audizioni o informazioni giornalistiche.
L’ambito di applicazione del False Claim Act si estende a tutte le richieste infedeli e/o fraudolente laddove il termine “claims” deve intendersi in senso ampio e, pertanto, include qualsiasi istanza o domanda per l’ottenimento di fondi governativi20.
Il False Claims Act tuttavia esclude l’applicabilità di tale disciplina alle segnalazioni fiscali, puntualmente le evasioni e le frodi fiscali, che sono disciplinate dall’Internal Revenue Code (IRC), in altri termini, non è immaginabile una iniziativa privata di diritto pubblico (private enforcement of public law)21.
Il tax whistleblowing negli Stati Uniti è stato introdotto attraverso la modifica ad opera del Tax Relief and Healtcare Act del 200622 che ha aggiunto una nuova sezione 26
dell’USC23, in base alla quale i premi agli informatori, ricorrendo alcune circostanze, devono essere obbligatoriamente corrisposti. Il segnalatore deve trasmettere le informazioni presentando un tax claim al Whistleblowers Office dell’Internal Revenue Service (IRS), in cambio dell’opportunità di ricevere una percentuale del recupero definitivo, sulla base dell’IRS Whistleblower Program24.
Tale nuova sezione prevede attualmente un sistema premiale simile a quello del False Claims Act ovvero una ricompensa obbligatoria e compresa fra il 15 e il 30 per cento della somma recuperata (inclusi sanzioni e interessi) dall’Autorità competente a indagare e sanzionare, ossia l’Internal Revenue Service.
Tuttavia, è necessario che nella denuncia del tax whistleblower, documentata in maniera articolata:
l’ammontare evaso dal contribuente segnalato sia superiore ai 2 milioni di
dollari, comprensivo di imposte, sanzioni e interessi, e
qualora il contribuente sia una persona fisica, che il suo reddito sia superiore a 200 mila dollari per almeno uno dei periodi di imposta in questione.
Qualora non siano rispettate queste due condizioni, l’Internal Revenue Service, competente ad elargire la ricompensa, potrà comunque decidere discrezionalmente di assegnarla, ma questa non potrà essere superiore al 15 per cento della somma recuperata25.
Inoltre, qualora l’informazione fornita tragga origine dalle risultanze di un’audizione giudiziaria o amministrativa, di un rapporto del Governo, di una revisione contabile o di un’indagine o dei mezzi di informazione, la quota spettante all’ informatore è limitata alla percentuale massima pari al 10 per cento del gettito tributario riscosso.
La quota spettante all’informatore è, altresì, ridotta se l’informatore ha pianificato e
avviato le violazioni (dunque, se l’informatore ha pianificato o avviato la frode fiscale).
Tale nuova sezione prevede, altresì, che qualora l’IRS non dovesse riconoscere il contributo dovuto all’informatore oppure nel caso in cui questo dovesse rivelarsi “non congruo”, il tax whistleblower ha il diritto di presentare ricorso al Tribunale fiscale degli Stati Uniti al fine di far valere la propria pretesa26.
Pertanto, gli incentivi economici previsti dalla disciplina del tax whistleblowing negli Stati Uniti a favore del segnalatore variano a seconda di fattori quali il superamento di determinate soglie relativamente all’importo evaso e/o al reddito complessivo del contribuente, la qualità delle informazioni fornite, il coinvolgimento dello stesso segnalatore nella presunta violazione fiscale27.
Come si è anticipato, il più grande incentivo economico a favore dei tax whistleblowers è stato corrisposto nell’ambito dell’IRS Whistleblowing Program del 2006 a Bradley Birkenfeld che ha ricevuto 104 milioni di dollari dopo aver rivelato i sistemi utilizzati dal colosso bancario UBS per consentire a migliaia di contribuenti americani di evadere il fisco28.
Come altre istituzioni straniere, anche UBS aveva firmato nel 2001 con le Autorità fiscali statunitensi l’accordo sullo status di Qualified Intermediary (QI) che obbligava i firmatari (ovvero banche e intermediari stranieri) a comunicare agli Stati Uniti la presenza nell’ambito del loro gruppo di conti intestati a cittadini americani. Nonostante tale sottoscrizione, UBS aveva continuato ad assistere gli evasori fiscali americani29. Con la testimonianza di Birkenfeld, gli Stati Uniti sono riusciti ad accusare UBS che il 18 febbraio 2009 ha pagato una sanzione di 780 milioni di dollari per non perdere la licenza ad operare sul mercato finanziario americano30.
Tale caso rappresenta una ipotesi “limite”, poiché Birkenfeld prima di redimersi aveva preso parte, se pur in forma limitata, alle frodi cui la sua banca concorreva, e per questo nel 2008 fu condannato alla pena detentiva di 3 anni e a 3 anni di libertà vigilata.
Sotto il profilo prettamente comparatistico, il modello di tax whistleblowing elaborato dagli Stati Uniti si rivela un efficace strumento di contrasto all’evasione e frode fiscale, nonché, generalmente, ai fenomeni corruttivi, poiché frutto di una strategia complessiva mirata a prevenirli mediante un meccanismo premiale per il denunciante31.
www.gpoaccess.gov/congress/index.html.
Come già anticipato, l’esperienza dei contesti di common law nella regolamentazione del fenomeno è ad oggi prevalente, ed in tale prospettiva merita di essere analizzato anche il modello elaborato dal Regno Unito32.
Il Regno Unito è comunemente ritenuto l’esempio migliore di come la protezione del segnalatore non necessiti di numerosi e complessi atti legislativi per essere efficace. Uno dei motivi di successo dell’istituto nel Regno Unito è rappresentato dalle campagne di sensibilizzazione promosse da varie associazioni, che non solo hanno permesso al whistleblowing di entrare nell’agenda pubblica, ma anche di diffondere nel Paese una ragionata cultura della segnalazione.
Si tratta del Public Interest Disclosure Act (PIDA) che ottenne il consenso dalla Corona il 2
luglio 1998 ed è entrato in vigore l’anno successivo.
A differenza degli Stati Uniti, il Regno Unito dispone di un unico atto rivolto verso i whistleblowers, che disciplina al suo interno le forme di protezione destinate sia ai dipendenti pubblici sia a quelli privati ed è l’unica legge che estende il whistleblowing direttamente ai media ed anche ai membri del Parlamento33.
La legge prevede espressamente una definizione di quali rivelazioni siano soggette a tutela. Stando alla sezione 43, lettera B, infatti, sono sottoposte a protezione quelle divulgazioni che, secondo la ragionevole convinzione del segnalatore, evidenziano fatti aventi rilevanza penale, violazione di obblighi di legge, errori giudiziari, pericoli per la salute e la sicurezza degli individui, danni all’ambiente. Allo stesso modo, la protezione si estende a quelle rivelazioni che dimostrano l’occultamento di informazioni preziose concernenti uno dei suddetti ambiti34.
L’ordinamento inglese suggerisce una distinzione tra il c.d. external whisteblowing, equivalente ad una segnalazione inoltrata ad organismi regolatori di un dato settore, all’Autorità Giudiziaria o ai media, e il c.d. internal whistleblowing, indirizzato all’interno della medesima organizzazione di appartenenza35.
In particolare, la normativa distingue tre diverse tipologie di segnalazione, distinte in base al target, cui è attribuito un diverso grado di tutela:
“segnalazione di primo grado” (internal disclosures): informative rivolte direttamente al datore di lavoro (c.d. internal whistleblowing), o segnalate ad organi preposti attraverso una procedura da quest’ultimo autorizzata. Sono, ovviamente i casi di segnalazione che godono di un livello di tutela minore, trattandosi di procedure aventi rilevanza meramente interna;
“segnalazioni di secondo grado” (regulatory disclosures): allerte trasmesse, senza l’ausilio né il preventivo vaglio di organi interni aziendali, agli organismi regolatori di settore o a soggetti istituzionali previsti dalla legge, quali l’Autorità per i servizi finanziari o l’Agenzia fiscale;
“segnalazioni di terzo grado” (wider disclosures): si tratta delle segnalazioni a
più ampio spettro, in quanto i soggetti destinatari della stessa possono essere di diverso tipo, quali membri del Parlamento o forze dell’ordine. Dato che tale segnalazione è destinata a raggiungere un alto livello di pubblicità, affinchè il soggetto segnalante possa ottenere tutela, è necessario che sussista almeno una delle seguenti condizioni: a) che la rilevante irregolarità sia di natura eccezionalmente seria; b) che vi sia il ragionevole convincimento che un’eventuale segnalazione al datore di lavoro comporterà un atto di ritorsione; c) che vi sia il ragionevole convincimento che la segnalazione al datore di lavoro porterà ad un occultamento delle prove; d) che sia stata precedentemente inoltrata una segnalazione sostanzialmente identica al datore di lavoro o ad un regolatore prescritto, secondo le modalità di cui ai punti 1) o 2).
In merito ai soggetti destinatari ex lege delle segnalazioni si sottolinea la categoria delle “prescribed person” tra le quali ai sensi della sezione 43F rientra l’Her Majesty’s Revenue and Customs nel caso di frodi fiscali36.
Requisito imposto dalla normativa inglese è che la segnalazione non sia stata fatta per il perseguimento di un vantaggio personale e, dunque, che si basi sulla buona fede del segnalante37.
In merito alla valutazione della prevalenza dell’interesse da tutelare, si evidenzia che il PIDA è stato modificato nell’aprile 2013 con l’introduzione del c.d. “public interest test”, in base al quale il segnalatore sarà protetto se ritiene “ragionevolmente” che la sua denuncia sia nell’interesse pubblico, a prescindere dalla sua buona fede38.
Contrariamente al modello whistleblowing degli Stati Uniti, il PIDA non riconosce un incentivo premiale a favore del segnalatore, ma prevede un’ampia tutela contro eventuali misure sanzionatorie disposte dal datore di lavoro; in questo caso, il dipendente può ottenere il risarcimento del danno subito e la reintegrazione nel posto di lavoro39.
Proseguendo l’analisi comparatistica al di fuori dei Paesi di common law, si evidenzia che nell’ordinamento tedesco, ad esempio, manca una disciplina specifica sulla tutela del tax whistleblowing e si rinvengono solo alcune previsioni nel settore pubblico e in quello finanziario.
A differenza dell’ordinamento inglese, quello tedesco prevede limitate tutele a favore dei segnalatori poiché lo sviluppo del modello del whistleblowing deve fare i conti con l’esperienza storica del regime nazista, per cui dinnanzi ai giudici prevale ancora la salvaguardia del principio della fedeltà del lavoratore nei confronti dell’impresa per la quale lavora, rispetto all’interesse pubblico alla denuncia del fatto illecito40.
Nel descritto scandalo LGT, merita attenzione l’orientamento espresso dal Tribunale Tedesco che ha ritenuto legittima una perquisizione domiciliare nei confronti di un contribuente fondata unicamente sulla lista sottratta alla banca da Heinrich Kieber ritenendo che non esiste nel codice di procedura penale tedesco un divieto assoluto di utilizzare le prove illegittimamente acquisite e che gli elementi di prova raccolti da privati
e non da parte delle Autorità devono considerarsi utilizzabili anche se ottenuti mediante la commissione di un reato.
Ancora, in un’ottica comparativa, in Francia, la legge 9 dicembre 2016, n. 1691, meglio nota come Loi Sapin II, tutela tutti i cittadini che segnalino un danno ovvero un pericolo per l’interesse pubblico, ma esclude qualsiasi ricompensa in favore dell’informatore41.
Tale legge ha riconosciuto per la prima volta l’importanza della cultura della segnalazione all’interno dell’Amministrazione pubblica e delle aziende, introducendo un regime giuridico generale di protezione dei segnalatori, proponendone prima di tutto una definizione univoca (che la legge chiama “lanceur d’alerte”)42.
La legge francese prevede la creazione di un apposito organo anticorruzione, l’adozione di codici di condotta e di misure per la trasparenza e la responsabilità, l’introduzione di un sistema di protezione per i dipendenti che, in buona fede, segnalano casi sospetti di corruzione all’interno della Amministrazione pubblica.
Sul punto merita una particolare rilevanza la legge finanziaria francese per il 2017 la quale ha introdotto un regime di indennizzo per i professionisti che conducano alla scoperta qualsiasi informazione relativa alla commissione di reati fiscali43.
Per tali soggetti, la legge francese ha previsto un meccanismo premiale con il riconoscimento di un premio fino a un milione di euro calcolato sulla base dei rischi assunti e del valore della frode denunciata44.
La misura, inizialmente concepita in maniera sperimentale per un periodo di due anni, è stata prorogata nel 2018 e ad oggi ha consentito al Fisco francese di riportare nelle casse dello Stato quasi 100 milioni di euro45.
L’ambito di applicazione di questo nuovo regime è limitato ai casi di gravi frodi fiscali internazionali di privati e imprese e i casi per i quali un professionista può essere risarcito sono elencati con precisione dalla legge.
Sul punto, si evidenziano notevoli differenze con la figura del tax whistleblower, seppure il consulente fiscale sia simile al “lanciatore d’allarme”. In primo luogo, gli informatori devono agire in modo disinteressato e in buona fede, mentre i consulenti fiscali, come anticipato, possono beneficiare di un risarcimento fino a 1 milione.
Inoltre, i consulenti fiscali possono beneficiare dell’anonimato allo stesso modo degli segnalatori, ma non possono richiedere protezioni speciali contro riqualificazioni o trasferimenti, discriminazioni o licenziamenti. In altre parole, i consulenti sono certamente indennizzati ma, ad esempio, non sono protetti dalla perdita del loro posto di lavoro. Infine, i consulenti contattano direttamente le Autorità fiscali, mentre gli informatori utilizzano canali di avviso interni.
Alla luce di quanto fin qui esposto e sulla base delle esperienze ordinamentali brevemente illustrate, va riconosciuto che la possibilità di accedere ad una ricompensa economica, ovviamente tassabile nella parte che eccedente il danno emergente, costituisce una leva incentivante e di notevole portata, soprattutto in contesti culturali dove la segnalazione, anche quando fosse effettuata in buona fede e a vantaggio della collettività, è ancora percepita come una delazione. Non si può escludere in effetti che la segnalazione sia in realtà guidata da sentimenti che con la buona fede non abbiano nulla a che fare ma che dalla prospettiva del legislatore prevalga il machiavellico fine che giustifica i mezzi, fintanto che il fine della tutela dell’interesse erariale non finisca per urtare contro altri beni costituzionalmente protetti ed i mezzi non creino più tensioni sociali di quelle che intendono risolvere. Nello specifico, il tax whistleblower è protetto da regole ad hoc e svolge un ruolo fondamentale atteso che incentiva valori quali la trasparenza e la correttezza e contribuisce al contrasto di comportamenti illeciti, primo fra tutti, la frode fiscale nazionale ed internazionale, considerando che il suo ruolo è prodromico allo scambio di informazioni tra le Autorità fiscali dei vari Paesi. Si tratta di approfondire se il tax whistleblower debba essere adeguatamente protetto quando fornisce prove, ancorché illecitamente sottratte, che rivelino l’evasione o frode fiscale, o meriti tutela anche in presenza della ragionevole convinzione che altri abbiano l’intenzione di evadere, frodare o
addirittura abbiano intenzione di porre in essere una pianificazione fiscale potenzialmente aggressiva.
IL TAX WHISTLEBLOWING NEL DIRITTO SOVRANAZIONALE: IL DOVERE DI SEGNALAZIONE PRIMA DEL DIRITTO DI SEGNALAZIONE
I primi interventi in tema di segnalazioni risalgono all’epoca della Comunità Europea e sono coincisi con la necessità di contrastare l’uso del sistema finanziario europeo a scopo di riciclaggio. Il pensiero va alla direttiva CE 10 giugno 1991, n. 91/308, approvata sulla base delle 40 Raccomandazioni emanate nel febbraio del 1990 dal Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI), con lo scopo di combattere unicamente il riciclaggio dei proventi derivanti dal traffico di stupefacenti. Le banche e gli enti finanziari furono obbligati a identificare i loro clienti e a segnalare alle Autorità competenti le operazioni in tal senso sospette. Si trattava di un whistleblowing particolare, vi era un dovere di segnalazione posto a carico di specifici soggetti, giammai una facoltà, e riguardava una fattispecie molto circoscritta di illecito. Nulla ancora a che vedere con il diritto tributario.
Solo nel corso dell’ultima decade di fine secolo scorso è emersa la necessità di estendere sia il presupposto soggettivo dell’obbligo di segnalazione, sia la gamma dei reati presupposto i cui proventi sono riciclati, come indicato dal GAFI nel 1996 con la revisione delle sue 40 Raccomandazioni. Di qui l’emanazione della seconda direttiva CE 4 dicembre 2001, n. 2001/97, che da un lato estende i soggetti obbligati alla prevenzione del riciclaggio, includendovi il mondo delle libere professioni, e dall’altro amplia la gamma dei reati di base e, conseguentemente, la segnalazione delle operazioni sospette46. Gli obblighi di segnalare operazioni sospette in materia fiscale dipendevano dalla qualifica che i singoli legislatori nazionali davano al reato di evasione o frode fiscale47.
Nel giugno 2003, anche a seguito degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, cui gli Stati Uniti reagirono con l’approvazione del US Patriot Act, il GAFI revisionò nuovamente le 40 Raccomandazioni ed emanò le 8 Raccomandazioni relative al contrasto del finanziamento al terrorismo, e di riflesso fu approvata la terza direttiva CE 26 ottobre 2005, n. 2005/60,
relativa alla prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, e l’anno successivo la direttiva CE 1 agosto 2006, 2006/70, che recava le misure di esecuzione della precedente48.
Ma è stata la crisi finanziaria del 2008 ad imporre un ulteriore giro di vite nella politica internazionale anti riciclaggio che si è tradotta per il GAFI nella inclusione dei reati fiscali tra i reati presupposto e, di conseguenza, per l’Unione Europea nella approvazione della quarta direttiva UE 20 maggio 2015, n. 2015/849, “relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2006/70/CE della Commissione”. Con essa il legislatore europeo assume la piena consapevolezza della necessità di contrastare in maniera uniforme il riciclaggio dei proventi derivanti dai reati fiscali, in linea con i principi codificati in sede OCSE per la lotta ai reati fiscali49, anche se non si è ancora spinto a fornire una definizione unica della fattispecie di reato50.
Tale disciplina prevede – anche a carico di determinate categorie di professionisti e soggetti economici prestatori di servizi di consulenza – un obbligo di segnalazione di informazioni riservate, talvolta di natura fiscale, acquisite nel corso dell’attività di consulenza prestata, riferite ad “operazioni sospette” poste in essere dai propri clienti, ovvero operazioni rappresentative di “attività criminose” (art. 33). In tale contesto, sono previste delle eccezioni dall’obbligo di segnalazione a favore di alcune categorie di soggetti e per alcune fattispecie di prestazioni rese nell’ambito di procedimenti giudiziari51.
Sono inoltre previste forme di tutela nei confronti dell’autore della segnalazione, tra cui
l’esenzione da responsabilità per la violazione di eventuali restrizioni alla comunicazione
di informazioni imposte in sede contrattuale o da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative (art. 37), il divieto di ritorsioni (art. 38), e il diritto alla riservatezza (art. 61)52.
Infine, con la quinta e ultima direttiva UE 30 maggio 2018, n. 2018/843, il legislatore europeo circoscrive con maggiore incisività la definizione di titolare effettivo con l’obiettivo implicito di espandere gli obblighi di segnalare operazioni sospette poste in essere da una gamma più ampia di soggetti interposti53.
La presa di coscienza che il contrasto all’uso del sistema finanziario europeo per fini di riciclaggio e per il finanziamento al terrorismo internazionale implichi un’armonizzazione dei suoi reati presupposto, è alla base della direttiva UE 2017/1371 del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale, in cui si delinea una tipizzazione delle frodi “gravi” all’Imposta sul valore aggiunto54.
Naturalmente, trattandosi di doveri di segnalazione, nessuna forma di ricompensa è prevista da parte dell’ordinamento sovranazionale a favore degli intermediari finanziari e professionali.
Dal dovere di segnalazione degli illeciti tributari alla base del reato di riciclaggio, si passa al diritto di segnalazione con la recente adozione della direttiva UE 23 ottobre 2019 n. 2019/1937, da attuarsi entro il 17 dicembre 2021, relativa alla protezione garantita a tutte le persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione, e che nasce dall’osservazione che essa è attualmente frammentaria e disomogenea: solo 10 Stati membri garantiscono
attualmente che gli informatori siano pienamente tutelati, negli altri è parziale e si applica solo a specifici settori o categorie specifiche, ad esempio i lavoratori dipendenti55.
Nel rispetto del principio di sussidiarietà e di proporzionalità del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), la direttiva si propone di aumentare la tutela dei diritti fondamentali, in particolare quelli sulla libertà di espressione e di informazione, come previsti dall’art. 11 della Carta dei Diritti dell’Unione Europea, nonché dell’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, così come elaborati dalle rispettive Corti, nonché nel rispetto della Raccomandazione sulla protezione degli informatori adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 30 aprile 2014 (considerando n. 31)56. In nessun caso si parla della possibilità di premiare il whistleblower per la segnalazione effettuata, il che dovrebbe rafforzare lo spirito di buona fede dal quale muoversi per fare emergere fatti penalmente rilevanti, superando le perplessità che nel dibattito internazionale si sono manifestate sui rewards economici57.
Con particolare riguardo al tax whistleblowing, merita di essere riportato il Considerando (18), che prevede una significativa apertura non solo alle segnalazioni di illeciti penalmente rilevanti, ma altresì alle segnalazioni di illeciti amministrativi tributari, quelli che al più potrebbero essere definiti di evasione interpretativa, cioè legati alla pianificazione fiscale aggressiva, più in generale all’abuso del diritto, che con l’avvento della digitalizzazione dell’economia si sono dimostrati quantitativamente più pericolosi. Questo è il senso del richiamo alle iniziative della Commissione europea in tema di scambio di informazioni che hanno trovato la loro confluenza nella direttiva UE 2011/16 sulla cooperazione amministrativa in materia tributaria e nella sua rapida evoluzione che non ha pari nel diritto sovranazionale58.
Si veda in tal senso l’interessante rapporto di Transparency International, Whistleblowing in Europe: Legal Protections for Whistleblowers in the EU, in https://www.transparency.org.
A livello applicativo, oltre a disciplinare le modalità con cui la segnalazione deve essere eseguita, la direttiva individua varie forme di tutela nei confronti dei segnalatori, tra cui “il divieto di ritorsione” (art. 19), “misure di sostegno” (art. 20), anche finanziario (sebbene limitato alle consulenze e all’assistenza nell’ambito dei procedimenti giudiziali connessi alla segnalazione), nonché “misure di protezione dalle ritorsioni” (art. 21), tra cui vi è l’esclusione di responsabilità per le violazioni di eventuali restrizioni alla divulgazione di informazioni, fatta salva la protezione del segreto professionale forense, la cui tutela resta materia riservata al diritto interno degli Stati membri (art. 3, paragrafo 3, lett. b).
In specie, sotto quest’ultimo profilo, l’art. 21, paragrafo 2, prevede testualmente che “Fatto salvo l’articolo 3, paragrafi 2 e 3, qualora le persone effettuino una segnalazione o una divulgazione pubblica conformemente alla presente direttiva non sono considerate
responsabili di aver violato eventuali restrizioni alla divulgazione di informazioni né incorrono in alcun tipo di responsabilità in relazione a tale segnalazione o divulgazione pubblica, a condizione che avessero fondati motivi di ritenere che detta segnalazione o divulgazione pubblica fosse necessaria per rivelare una violazione ai sensi della presente direttiva”.
Va evidenziato, inoltre, che la direttiva prevede una diversa disciplina per le violazioni eseguite dal whistleblower nella fase di acquisizione dell’informazione riservata: sotto questo profilo, infatti, il paragrafo 3 del cennato art. 21 prescrive che “Le persone segnalanti non incorrono in responsabilità per l’acquisizione delle informazioni segnalate o divulgate pubblicamente né per l’accesso alle stesse, purché tale acquisizione o accesso non costituisca di per sé un reato. Nel caso in cui l’acquisizione o l’accesso costituisca di per sé un reato, la responsabilità penale deve continuare a essere disciplinata dal diritto nazionale applicabile”.
LA GIURISPRUDENZA DELLA CEDU IN TEMA DI LIBERTÀ DI ESPRESSIONE La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) si è occupata di whistleblowing riconducendolo alla necessità di tutelare la libertà di espressione protetta dall’art. 10 della
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo59, e il leading case è rappresentato dalla
decisione 27 febbraio 2018, n. 1085/10 (caso Guja c. Moldova) che segue e perfeziona la precedente sentenza 12 febbraio 2008, n. 14227/04, emessa sempre sulla stessa vertenza60.
Più nello specifico, la giurisprudenza della Corte EDU ha individuato sei criteri concorrenti (i.e. Guja-criteria) ai fini del riconoscimento dello status (protetto) di whistleblower: 1) l’informazione divulgata deve essere di reale pubblico interesse; 2) tale informazione deve essere autentica, vale a dire accurata ed affidabile; 3) la divulgazione al pubblico deve essere considerata l’ultima risorsa utile per il perseguimento del pubblico interesse; 4) l’interesse pubblico ad ottenere queste informazioni deve essere maggiore rispetto all’interesse privato alla riservatezza, ovvero al danno conseguente al datore di lavoro o all’entità interessata; 5) l’autore della segnalazione deve aver agito in buona fede a nella convinzione della autenticità della informazione comunicata; 6) giudizio di proporzionalità dell’interferenza dello Stato, valutata sulla base delle conseguenze civili o penali previste per l’autore della segnalazione, ai fini del perseguimento degli interessi di cui al paragrafo 2 del citato art. 10 (i.e. sicurezza nazionale, integrità territoriale o pubblica sicurezza, difesa dell’ordine e prevenzione dei reati, protezione della salute o della morale, protezione della reputazione o dei diritti altrui, impedire la divulgazione di informazioni riservate o garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario).
I criteri Guja, per quanto siano fonte del diritto internazionale, sono stati direttamente applicati ad un caso di tax whistleblowing che è stato affrontato dalla Corte di Cassazione del Granducato del Lussemburgo: ci si riferisce alla sentenza 11 gennaio 2018, n. 3912, avente per oggetto il comportamento di Antoine Deltour, professionista francese della filiale lussemburghese della società di revisione PwC, che effettuava un accesso al sistema automatizzato di elaborazione dei dati dell’azienda per sottrarre gli accordi fiscali conclusi tra la PwC e l’Amministrazione finanziaria diretta lussemburghese per conto dei clienti PwC, e li consegnava al giornalista Edouard Perrin che attraverso il Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICJI) nel 2014 amplificò l’accaduto da cui lo scandalo LuxLeaks, con profondo imbarazzo dell’allora neo Presidente della Commissione Europea Jean Claude Junker che all’epoca dei fatti era Primo Ministro del Granducato.
Deltour, prima condannato per furto di documenti, accesso fraudolento al sistema automatizzato, divulgazione di segreti aziendali del datore di lavoro, violazione del segreto professionale e riciclaggio di denaro tramite detenzione e uso, con conoscenza della loro origine fraudolenta, degli stessi documenti, è stato assolto dalla Suprema Corte che gli ha attribuito lo status di whistleblower a seguito della sussistenza dei predetti criteri Guja, escludendolo dalla responsabilità dei reati ascrittigli in relazione all’acquisizione e divulgazione delle informazioni fiscali riservate.
IL TAX WHISTLEBLOWING N ELL ’ ORDIN AM ENT O GIURIDICO ITALIANO Nell’ordinamento giuridico italiano, il whistleblowing in generale, ed il tax whistleblowing in particolare, difficilmente si sarebbero potuti affermare senza la spinta europea.
Si possono solo ricordare forme di tutela accordate ai collaboratori di giustizia per scardinare la piaga del terrorismo brigatista (l. 6 febbraio 1980, n. 15, cosiddetta legge Cossiga), ma soprattutto la piaga della mafia siciliana (l. 15 marzo 1991, n. 82), ma si tratta di provvedimenti di carattere eccezionale che confermano la regola dell’omertà, e piace al riguardo rammentare il libro di Giovanni Falcone “Cose di cosa nostra” (Milano 1991), in cui il famoso magistrato menziona in prefazione un antico proverbio siciliano che, ad avviso di chi scrive, bene si presta a dipingere l’attitudine verso il whistleblowing nel passato prossimo della storia patria: ‘a megghiu parola è chidda can un si dici.
Nell’ambito dell’attività di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza, è doveroso segnalare il numero di pubblica utilità 117 istituito nel 1996 dal governo Prodi su iniziativa delle Fiamme gialle con l’obiettivo di permettere ai cittadini di segnalare comportamenti scorretti in tutti i campi di competenza del Corpo, dall’evasione fiscale alla contraffazione, ma è descritto nel rapporto annuale 2016, l’ultimo a tutt’oggi disponibile sul sito istituzionale, più come un arnese da collezione che uno strumento operativo foriero di risultati61.
E’ necessario premettere che i profili morali delle segnalazioni in Italia richiederebbero una indagine appropriata prima che il legislatore sovranazionale imponesse al nostro ordinamento di adeguarsi agli standard europei, e bisognerebbe addentrarsi nel terreno impervio della prospettiva sociologica attraverso cui l’evidenza empirica si colora di giudizi di valore inevitabilmente relativi, il che inevitabilmente richiederebbe attrezzate competenze.
In questa sede ci si limita a richiamare, in quanto la si ritiene condivisibile, quella letteratura che dipinge l’identità italiana caratterizzata da due modi sociali, quello dell’individualismo e quello del familismo, che hanno finito per strutturare la società civile della penisola in oligarchie di famiglie e corporazioni, con un potere economico, sociale e politico che è prevalso su quello, apparente, dello Stato vero e proprio. In tale contesto,
storicamente caratterizzato da frequenti e diffuse situazioni di incertezza giuridico politica, solo la dimensione individuale, al massimo familiare, si rivela in grado di garantire due risorse preziose come la riservatezza e, insieme, la fiducia, che fungono da collante della società civile62.
Inimmaginabile, dunque, che il tax whistleblowing si potesse proporre per contrastare su basi morali l’evasione fiscale e la sua retorica, poiché essa non è la causa ma l’effetto di questo ragionamento. Solo l’integrazione ad un progetto di società civile più ampio e articolato, quale quello europeo, contribuisce a superare l’annoso paradigma anche dal punto di vista giuridico.
Il tax whistleblowing entra nell’ordinamento italiano in via derivata con il dovere di segnalazione delle operazioni sospette imposto dall’attuazione della disciplina europea in materia di contrasto al riciclaggio, a partire dalla terza direttiva CE n. 2005/60.
Il testo legislativo di riferimento è il d.lvo 21 novembre 2007, n. 231, come modificato dalle direttiva europee che si sono succedute in argomento (vedasi il paragrafo 4), che oltre a disporre in capo ad una categoria di soggetti (che ai sensi dell’art. 3, è andata via via allargandosi) obblighi di adeguata verifica della propria clientela, impone altresì (art. 35) l’obbligo di effettuare la segnalazione di operazioni sospette a rischio di riciclaggio, di cui l’evasione e la frode fiscale ne sono reati presupposto63.
Inoltre, ai sensi dell’art. 9, comma 9, nel contesto dei rinforzati poteri di cui dispone il Nucleo Speciale di Polizia valutaria della Guardia di Finanza, è prescritto che “i dati e le informazioni acquisite nell’ambito delle attività svolte ai sensi del presente articolo sono utilizzabili ai fini fiscali, secondo le disposizioni vigenti”64.
A tal proposito, non ci si deve dimenticare l’iniziale imbarazzo con cui i segnalatori assolvevano il compito di richiedere informazioni personali alla propria clientela, figuriamoci il sentimento rispetto all’ipotesi di effettuare segnalazioni per operazioni sospette, che spesso avevano il paradossale effetto di gettare dubbi e sospetti proprio su chi le effettuava, con imprevedibili conseguenze.
Vi sono due aspetti che in tema di segnalazione di operazioni sospette devono essere puntualizzati, da un lato, l’evoluzione del segreto professionale quale collante del rapporto cliente professionista che finisce per subire una inevitabile compressione, e dall’altro, la tutela delle persone che effettuano la segnalazione, in un contesto che non era preparato a questa evoluzione, per non dire addirittura diffidente e ostile.
Del primo si ha evidenza nell’art. 35, comma 5, in cui si è opportunamente previsto che il segreto professionale non comincia di fronte a qualunque istanza di assistenza formulata dal cliente, bensì solo per esigenze aventi natura giudiziale “L’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette non si applica ai professionisti per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso nel corso dell’esame della posizione giuridica o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento innanzi a un’autorità giudiziaria o in relazione a tale procedimento, anche tramite una convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ai sensi di legge, compresa la consulenza sull’eventualità di intentarlo o evitarlo, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso”.
Il secondo aspetto è invece contenuto nell’art. 38, comma 3, che nel contesto delle misure idonee ad assicurare la riservatezza dell’identità delle persone che effettuano la segnalazione, dispone sulla carta il precetto per cui “In ogni fase del procedimento, l’autorità giudiziaria adotta le misure necessarie ad assicurare che l’identità del segnalante sia mantenuta riservata. In ogni caso, il nominativo del segnalante non può essere inserito nel fascicolo del Pubblico Ministero né in quello per il dibattimento e la sua identità non può essere rivelata, a meno che l’Autorità giudiziaria non disponga altrimenti, con
provvedimento motivato ed assicurando l’adozione di ogni accorgimento idoneo a tutelare il segnalante ivi compresa, ove necessaria in ragione dell’attinenza a procedimenti in materia di criminalità organizzata o terrorismo, l’applicazione delle cautele dettate dall’articolo 8 della legge 13 agosto 2010, n. 136, in materia di attività svolte sotto copertura, quando lo ritenga indispensabile ai fini dell’accertamento dei reati per i quali si procede. In ogni caso, il nominativo del segnalante può essere rivelato solo quando l’autorità
giudiziaria, disponendo a riguardo con decreto motivato, lo ritenga indispensabile ai fini
dell’accertamento dei reati per i quali si procede”65.
Il dovere di segnalare operazioni sospette di riciclaggio (con un reato fiscale quale presupposto) che incombe sui soggetti obbligati alla adeguata verifica della loro clientela corporate, non è stato bilanciato da una tutela nei confronti dei soggetti che di quella clientela sono dipendenti, nel momento in cui avessero voluto fare emergere esattamente le stesse operazioni sospette.
Una asimmetria testimoniata dall’assenza di riferimenti in tal senso nel d.lvo 8 giugno 2001,
n. 231, relativo alla responsabilità amministrativa delle società e degli enti, nel cui testo non solo non era prevista alcuna tutela, men che meno un incentivo, alle segnalazioni per il rischio penale di essere accusati di diffamazione e calunnia (anche perché individuava il destinatario della segnalazione nel diretto superiore gerarchico mettendo a rischio la mancanza di riservatezza del segnalante), ma addirittura i reati tributari non erano compresi tra quelli che l’impresa poteva gestire in prevenzione dotandosi di un adeguato modello organizzativo facente perno sull’Organismo di Vigilanza per la sua osservanza66.
In tale contesto, l’unica consolazione a favore del tax whistleblower italiano, seppure in prognosi postuma, sarebbe potuta derivare dalla giurisprudenza CEDU in punto di criteri Guja, analizzando come questi hanno orientato la Corte di Cassazione lussemburghese nel discusso caso Luxleaks. Il ragionamento giuridico aiuta a comprendere l’evoluzione che la disciplina sta attualmente vivendo. In effetti, i criteri Guja avrebbero potuto avere effetti dirompenti in tema di utilizzabilità di informazioni fiscali acquisite illegittimamente in violazione dell’obbligo di segreto professionale67.
Si immagini gli esiti che avrebbero potuto avere i contenziosi se vi fosse stata l’utilizzabilità in sede penale dei dati contenuti nelle cd. “liste” di contribuenti italiani detentori di conti correnti presso istituti di credito esteri, acquisite e divulgate in violazione di norme sulla riservatezza, quali ad esempio la cd. “lista Falciani”, la “lista Pessina” e la “lista LGT (o Vaduz)”68.
Si rammenta infatti che nei procedimenti penali per reati tributari instaurati nei confronti di contribuenti italiani inseriti nelle suddette liste, secondo orientamento pacifico della Cassazione penale, è stata prevista l’inutilizzabilità dei dati ivi contenuti, in applicazione delle prescrizioni del codice di procedura penale in tema di prove illecitamente acquisite (art. 191 c.p.p.), stante il consolidato principio cd. di illegittimità derivata.
Diversamente, per quanto riguarda i procedimenti amministrativi tributari, la Suprema Corte ha ritenuto pienamente utilizzabili le informazioni desunte dalle citate liste ai fini dell’accertamento. In specie, tale posizione è stata avallata dalla Corte di Cassazione a decorrere dalla sentenza del 19 giugno 2001, n. 834469, ove si precisa che “non esiste (…) nell’ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite”; di conseguenza, il principio sancito dall’art. 191 c.p.p. “vale, ovviamente, soltanto all’interno di tale specifico sistema procedurale, vale adire in ambito penale” (di recente, cfr. Cass. civ. n. 959/2018).
Di conseguenza, laddove l’acquisizione “a monte” dell’informazione divulgata fosse stata ritenuta legittima dall’Autorità giudiziaria competente, in forza della esimente di cui all’art. 10 della CEDU, vi sarebbe potuta essere la piena utilizzabilità delle informazioni (anche) in ambito penale tributario70.
Finalmente, alla protezione del whistleblower pone rimedio la l. 30 novembre 2017, n. 179, relativa alla tutela degli autori di segnalazioni di reati o gravi irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato, che integra e ampia la regolamentazione dell’istituto già previsto in termini generali per la Pubblica Amministrazione dalla legge Severino n. 190/2012 che aveva introdotto all’art. 54 bis del testo unico sul pubblico impiego una prima disciplina di tutela per il pubblico dipendente71.
In particolare, per quanto riguarda il settore privato, l’art. 3, l. n. 179/2017, prevede inter alia forme di tutela per gli autori delle segnalazioni effettuate ai sensi dell’art. 6 del d.l.vo n. 231/2001, disponendo che il “perseguimento dell’interesse all’integrità delle amministrazioni (…) private, nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni, costituisce giusta causa72 di rivelazione di notizie coperte dall’obbligo di segreto di cui agli articoli 326,622 e 623 del codice penale e all’articolo 2105 del codice civile”73.
In altri termini, l’art. 3, sollevando l’autore della segnalazione dall’applicazione di tutte le norme penali e civili che tutelano il segreto, ha conferito priorità al “perseguimento dell’interesse all’integrità delle amministrazioni, pubbliche e private”, rispetto “all’interesse al segreto d’ufficio, aziendale, professionale, scientifico e industriale”.
Tale scriminante, tuttavia, è sottoposta a un limite: torna a prevalere la norma generale a tutela del segreto se “la rivelazione (è eseguita) con modalità eccedenti rispetto alle finalità dell’eliminazione dell’illecito e, in particolare, la rivelazione (è eseguita) al di fuori del canale di comunicazione specificamente predisposto a tal fine” (comma 3).
È da rilevare altresì che, il comma 2 della norma in esame specifica che “La disposizione di cui al comma 1 non si applica nel caso in cui l’obbligo di segreto professionale gravi su chi sia venuto a conoscenza della notizia in ragione di un rapporto di consulenza professionale o di assistenza con l’ente, l’impresa o la persona fisica interessata”. Il che sottintende
evidentemente la volontà del legislatore – nell’ottica del bilanciamento degli interessi – di salvaguardare il principio della tutela dell’affidamento del cliente nei confronti del professionista. Torna a prevalere, dunque, la tutela dell’interesse privato alla riservatezza rispetto all’interesse pubblico, fermo restando che l’interesse pubblico, uscito dalla porta, potrà rientrare dalla finestra in ragione dell’obbligo di segnalazione che il professionista ha con riferimento alle operazioni sospette di riciclaggio ai sensi del d.lvo n. 231/2007.
La asimmetria tra il dovere e diritto di segnalazione di illeciti tributari viene infine del tutto a cadere con l’approvazione della legge sulle disposizioni urgenti in materia fiscale collegate alla legge di bilancio 2020 (d.l. 26 ottobre 2019 n. 124, convertito in l. 19 dicembre 2019, n. 157), che aggiunge l’art. 25 quinquiesdecies (reati tributari), all’elenco dei reati di cui al d.lvo n. 231/2001, sulla responsabilità amministrativa delle società ed enti, contemplandovi non solo il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2, d.lvo 10 marzo 2000, n. 74, come inizialmente previsto dal decreto legge n. 124/2019, ma anche i delitti di cui all’art. 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), art. 8 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), art. 10 (occultamento o distruzione di documenti contabili) e art. 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte). La sanzione pecuniaria per l’ente il cui organo dirigente non ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire i predetti reati tributari, è fino a 500 quote (per gli artt. 2 e 3), oppure fino a 400 quote (per gli artt. 8,10 e 11).
Tale attesa modifica, frutto anche della pressione esercitata sull’ordinamento giuridico nazionale dalla direttiva europea sulla protezione degli interessi finanziari, comporta che in caso di accertamento della commissione di uno dei reati fiscali in questione, per evitare l’applicazione della sanzione amministrativa, la società dovrà dimostrare di aver posto in essere tutti gli accorgimenti necessari preventivi per prevenire l’illecito, attraverso la predisposizione e gestione di un idoneo modello organizzativo controllato dall’Organismo di Vigilanza74.
In definitiva, la tutela del tax whistleblower aziendale si è perfezionata attraverso il combinato disposto della l. n. 179/2017 – che estende la tutela del segnalante al settore privato stabilendo i requisiti che i modelli organizzativi d.lvo n. 231/2001, devono avere per risultare idonei a prevenire i reati ai fini del whistleblowing, – con la l. n. 159/2019 che, in attuazione della direttiva sulla protezione degli interessi finanziari europei, estende l’ambito applicativo del d.lvo n. 231/2001 ai reati tributari.
In particolare, l’art. 2 della richiamata l. n. 179/2017 ha previsto che il modello organizzativo rilevante ai fini del d.lvo n. 231/2001, sia dotato di un apparato informativo e di comunicazione interno all’impresa. Tale sistema, come noto, costituisce uno dei componenti del modello di riferimento di controllo interno riconosciuto a livello internazionale dal Committee of Sponsoring Organizations of the Tradeway Commission (COSO), il modello Enterprise Risk Management75.
Tutto ciò detto, si deve osservare che nel perimetro della tutela offerta al tax whistleblower nell’esercizio del suo diritto di segnalazione, purtroppo un soggetto rimane del tutto estraneo a qualunque tipo di protezione, ed è paradossalmente proprio la persona giuridica del cui modello organizzativo ottimale si è discusso finora.
In effetti, la visione architettonica immaginata sia dal legislatore sovranazionale che dal legislatore nazionale è di tipo bottom up, cioè segnalazioni di tax whistleblowers che dal basso devono essere tutelate nella loro canalizzazione verso l’alto, all’interno, cioè all’Organismo di Vigilanza della società, oppure all’esterno, fisiologicamente al Corpo della Guardia di finanza nell’ambito dell’Amministrazione finanziaria.
Ma non si possono escludere delle ipotesi top down, in cui siano proprio i vertici apicali a volere esercitare il diritto di segnalare ipotesi di illeciti tributari commessi dal personale subordinato, oppure da vertici apicali di una passata gestione. Nel contesto delle operazioni di merger & acquisitions in cui i fondi di investimento spesso intervengono con una propria attività di due diligence sui periodi di imposta passati e con propri managers che subentrano a quelli della target company, queste ipotesi sono più comuni di quanto di pensi. Fermo restando il self auditing attraverso l’istituto del ravvedimento operoso per sanare il debito tributario, con le relative sanzioni amministrative ed interessi, se l’amministratore delegato volesse esercitare il proprio diritto di segnalare una connessa ipotesi di dichiarazione fraudolenta, di occultamento oppure di distruzione di documenti contabili, si fa fatica a immaginare come la Procura della Repubblica possa tradurre questa buona volontà in una valutazione benevola e senza conseguenze in termini di sanzioni pecuniarie ex art. 25 quinquiedecies, d.lvo n. 231/2000 sulla responsabilità amministrativa degli enti, dando tra l’altro seguito ad un caso di ne bis in idem sostanziale. Insomma, sfugge ad ogni considerazione la protezione della persona giuridica da sè stessa.
A tal riguardo, ci si interroga se una possibile soluzione non possa proprio venire in soccorso nuovamente dalla giurisprudenza CEDU sull’art. 10 della Convenzione, che ha codificato i criteri Guja. Si tratterebbe infatti di immaginarne l’applicazione proprio in difesa dal perverso incidere del d.lvo n. 231/2000 come recentemente riformato.
L’ U LT IM A FRONTIERA DEL TAX WHISTLEBLOWING: DAL CONTRASTO ALL ’ EVASION E E FRODE FISCALE ALLA PREVENZIONE DELLA PIANIFICAZIONE FISCALE AGGRESSIVA
Mentre il dovere di segnalazione di cui alla normativa antiriciclaggio ed il diritto di farlo ai sensi della normativa sul whistleblowing si propongono l’obiettivo di contrastare il fenomeno quando alla base vi siano sospetti di evasione o frode nazionale ed internazionale, in parallelo il diritto tributario internazionale ed europeo ha preso atto che analoghi obblighi di segnalazione devono essere imposti con l’obiettivo di prevenire i comportamenti di pianificazione fiscale aggressiva, nella consapevolezza che questi fenomeni sempre più sofisticati, se non sono l’anticamera di patologie evasive e/o fraudolente, certamente generano perdite di gettito erariale forse anche più significative, traendo vantaggio dall’accresciuta mobilità dei capitali e delle persone nel mercato interno.
Ci si riferisce a quanto è imposto dalla direttiva UE 15 febbraio 2011 n. 2011/16, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale (DAC) che ha abrogato la precedente direttiva CE 19 settembre 1977, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette.
Mai si è osservata una evoluzione così rapida nel diritto tributario europeo come quella che ha interessato la cooperazione amministrativa in materia tributaria al punto da gettare le basi per la successiva fase di integrazione amministrativa in materia tributaria con la creazione dell’Amministrazione finanziaria europea. Tale direttiva, infatti, nel giro di pochi anni è stata perfezionata ben cinque volte, attraverso, in sequenza, (i) la direttiva UE 9 dicembre 2014, n. 2014/107 (DAC 2), che fa perno sulla consapevolezza di integrare il sistema UE con lo standard comune di comunicazione di informazioni (Common Reporting Standard) elaborato dall’OCSE e che prevede lo scambio automatico di informazioni sui conti finanziari di cui sono titolari persone fisiche non residenti e stabilisce un quadro per tale scambio a livello mondiale; (ii) la direttiva UE 8 dicembre 2015, n. 2015/2376 (DAC 3), che dispone lo scambio automatico di informazioni sui ruling preventivi transfrontalieri (a seguito dello scandalo Luxleaks); (iii) la direttiva UE 25 maggio 2016, n. 2016/881 (DAC 4), che stabilisce lo scambio automatico obbligatorio di informazioni in materia di rendicontazione paese per paese delle imprese multinazionali tra le autorità fiscali; (iv) la direttiva UE 6 dicembre 2016, n. 2016/2258 (DAC 5), che ha disposto l’obbligo per gli Stati membri di fornire alle autorità fiscali l’accesso alle procedure di adeguata verifica della clientela applicate dalle istituzioni finanziarie ai sensi della quarta direttiva antiriciclaggio, e infine (v) la direttiva UE 25 maggio 2018, n. 2018/822 (DAC 6)76.
In particolare, l’ultima modifica alla direttiva UE 2011/16, contenuta nella DAC 6, rappresenta uno degli strumenti del c.d. pacchetto trasparenza lanciato dalla Commissione Europea all’esito dei lavori svolti in sede OCSE/G20 sul progetto Base Erosion and Profit Shifting (BEPS), e desta l’interrogativo se non ci sia spinti al di là di ogni ragionevole immaginazione con un serio problema di proporzionalità tra mezzi imposti, fini perseguiti e sanzioni annunciate77.
L’oggetto della DAC 6 è nuovamente la procedura di comunicazione e scambio automatico di informazioni e consiste, in coerenza con il Rapporto finale dell’Action 12 relativo alle Mandatory Discolure Rules78, nell’imporre a qualunque intermediario (cioè persona registrata presso un’associazione professionale di servizi in ambito legale, fiscale o di consulenza in uno Stato membro) che elabori, commercializzi, organizzi o metta a disposizione ai fini di attuazione o gestisca l’attuazione di un meccanismo transfrontaliero nell’interesse di un contribuente pertinente, di segnalarlo alla propria Amministrazione finanziaria in una fase precoce, ossia prima che esso si sia effettivamente attuato. La comunicazione di informazioni sui meccanismi transfrontalieri di pianificazione fiscale potenzialmente aggressiva può contribuire in modo efficace agli sforzi per la creazione di un ambiente di tassazione equa nel mercato interno.
In particolare, un meccanismo transfrontaliero (arrangement) è uno schema in cui non tutti i partecipanti sono residenti ai fini fiscali nella stessa giurisdizione (oppure, al contrario, alcuni sono contemporaneamente residenti in più di una giurisdizione), e che presenta degli elementi distintivi (hallmarks) di potenziale rischio di elusione fiscale, in virtù dei quali è possibile stabilire, tenuto conto di tutti i fatti e le circostanze pertinenti, che il vantaggio o uno dei principali vantaggi che si può ragionevolmente attendere è di natura fiscale79. Tali elementi distintivi sono suddivisi in cinque categorie: a) elementi distintivi generici collegati al criterio del vantaggio principale; b) elementi distintivi specifici collegati al criterio del vantaggio principale, c) elementi distintivi specifici collegati
alle operazioni transfrontaliere; d) elementi distintivi specifici riguardanti lo scambio automatico di informazioni e la titolarità effettiva; e, infine, d) elementi distintivi specifici relativi ai prezzi di trasferimento.
Ottenendo le informazioni prima che tali schemi siano effettivamente attuati, le Amministrazioni finanziarie interessate avranno l’opportunità di esaminare gli schemi oggetto di reporting e di decidere in flagranza del comportamento potenzialmente elusivo se essi siano o meno accettabili, proponendo, se del caso, disposizioni legislative o regolamentari di contrasto o adottando documenti interpretativi che indirizzino gli uffici in sede di verifica e controllo80. Si tratta di una forma sperimentale di accertamento predittivo che desta più di una preoccupazione con riferimento al rispetto dei principi di certezza e proporzionalità. Quanto al primo, non si riesce a vedere come sarà possibile conciliare il raggiunto equilibrio del contraddittorio endoprocedimentale Fisco contribuente in tema di abuso del diritto con le segnalazioni preventive fornite dagli intermediari in cui sono gli stessi professionisti che hanno assistito il contribuente pertinente a descrivere gli schemi posti in essere come potenzialmente elusivi. Per il secondo, invece, il carico di tax compliance che finirà con il gravare sui professionisti porterà alla creazione all’interno del soggetto passivo della nuova figura del segnalatore di imposta che va ad aggiungersi al quella del sostituto d’imposta e del responsabile d’imposta, e che è destinata a fare molto discutere, portando il ragionamento sulla proporzionalità tra il perseguimento dell’interesse fiscale europeo, gli oneri posti a carico dei soggetti passivi e le sanzioni che devono essere effettive e dissuasive, al di là di ogni attuale ragionevolezza81.
Anche questa disciplina offre importanti spunti di riflessione sulla delicata questione della tutela del segreto professionale. Non è questa la sede per un’approfondita analisi di tale disciplina, basti qui rilevare che il Considerando (8) della direttiva UE 2018/822, nel confermare che “l’obbligo di comunicazione di informazioni dovrebbe essere imposto a tutti gli attori che sono di solito coinvolti nell’elaborazione, commercializzazione, organizzazione e gestione dell’attuazione di un’operazione transfrontaliera soggetta all’obbligo di notifica o di una serie di tali operazioni, nonché a coloro che forniscono assistenza o consulenza”, precisa che “in alcuni casi, l’obbligo di comunicazione di informazioni non sarebbe applicabile a un intermediario a causa del segreto professionale (…)”.
In questa prospettiva, il nuovo articolo 8 bis ter, paragrafo 5, della direttiva UE 2011/16, prevede che “ciascuno Stato membro può adottare le misure necessarie per concedere agli intermediari il diritto all’esenzione dalla comunicazione di informazioni su un meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica quando l’obbligo di comunicazione violerebbe il segreto professionale sulla base del diritto nazionale dello Stato membro”, precisando che gli intermediari possono avere diritto all’esenzione “soltanto nella misura in cui operano nei limiti delle pertinenti norme nazionali che definiscono le loro professioni”.
Alla luce del quadro riassunto, si ritiene che la diversa individuazione del perimetro di applicazione dell’obbligo del segreto professionale da parte dei singoli Stati, rappresentando un limite all’applicazione della direttiva, potrebbe contribuire ad incidere sulla localizzazione delle attività produttive all’interno della UE. Per quanto riguarda l’Italia, ad esempio, l’art. 3, comma 4, dello schema di decreto di attuazione della direttiva DAC 6 non menziona espressamente il segreto professionale come limite di applicazione della stessa ma, nell’intento definirne la portata, afferma che l’intermediario è esonerato dall’obbligo di comunicazione “limitatamente ai casi in cui esamina la posizione giuridica del proprio cliente o espleti compiti di difesa o di rappresentanza del cliente in un procedimento innanzi ad una autorità giudiziaria, compresa la consulenza sull’eventualità di intentarlo o evitarlo”82.
Un aspetto complementare, ultroneo rispetto al dettato della direttiva, ma affatto secondario ai fini della presente analisi, riguarda l’ipotesi in cui, ai sensi dell’art. 3, comma 5, dello schema di decreto l’intermediario professionale è esonerato dall’obbligo di comunicazione del meccanismo transfrontaliero qualora dalle informazioni trasmesse possa emergere una sua responsabilità penale. In tal caso, l’intermediario dovrebbe informare ogni altro intermediario coinvolto e, in assenza di altri soggetti, dovrebbe addirittura informa direttamente il contribuente interessato in modo che sia quest’ultimo a informare l’Agenzia delle entrate, la qual cosa, oggettivamente, desta qualche perplessità. Il contribuente a sua volta è esonerato dall’obbligo di informazione solo nel caso in cui dalle informazioni possa emergere una sua responsabilità penale. Tale ipotesi, certamente più verosimile, è tuttavia foriera di una serie di inevitabili conseguenze sotto il profilo della sua corporate tax governance83.
In questo scenario, in cui potrebbero venire progressivamente meno le fonti obbligatorie di informazioni preventive a beneficio dell’Amministrazione finanziaria, prima dall’intermediario, poi dal contribuente stesso, rimarrebbe da appellarsi a “qualunque
persona” che sia (o si ritenga) a conoscenza dell’attuazione di un meccanismo transfrontaliero soggetto a notifica, dunque un vero e proprio tax whistleblower, cui la direttiva non offre alcuna protezione84. In tal caso, rimane in via residuale solo il diritto tutelato alla segnalazione di cui al combinato disposto della l. n. 179/2017 e d.lvo n. 231/2000 a fare da presidio sulla responsabilità amministrativa delle società ed enti. Ma, coerentemente con il precetto della direttiva e della sua attuazione, questo diritto riguarda solo le fattispecie di reati fiscali di cui all’art. 25 quinquiesdecies d.lvo n. 231/2000, ed è qualificabile come una sorta di segnalazione di ultima istanza che proviene dall’interno del contribuente.
A tal proposito, ci si interroga, seppure a mero titolo di esercizio intellettuale, se sia altresì qualificabile come un diritto, il whistleblowing di schemi di pianificazione fiscale aggressiva di cui si venisse a conoscenza nel contesto del proprio rapporto di lavoro con il contribuente e, di conseguenza, se ne sia immaginabile la tutela ai sensi del combinato disposto della l. n. 179/2017 e del d. lvo n. 231/2000. In effetti, a leggere alcuni Considerando della direttiva UE n. 2018/822, si percepisce una sottile linea di confine tra gli obiettivi che la richiesta trasparenza intende perseguire, si parla spesso di elusione ed evasione fiscale come se fossero sinonimi. Per esempio, questo capita nel Considerando (4) (“(…) è stato riconosciuto che un quadro trasparente per lo sviluppo delle attività economiche può contribuire a contrastare l’elusione e l’evasione fiscali nel mercato interno (…)”), oppure nel Considerando (5) (“E’ necessario ricordare come taluni intermediari finanziari e altri fornitori di consulenza finanziaria sembrino aver aiutato attivamente i loro clienti a nascondere denaro offshore”). In particolare, il Considerando (8) potrebbe essere la chiave interpretativa per immaginare l’inclusione della pianificazione fiscale aggressiva tra i diritti di segnalazione, allorquando si afferma che in alcuni casi l’obbligo di segnalazione non è applicabile all’intermediario perché il contribuente elabora e attua un sistema (di monitoraggio) internamente. Addirittura, la Relazione 2019 della Commissione speciale TAX3 istituita nel marzo 2018 presso il Parlamento Europeo per consolidare il lavoro svolto sui Panama Papers, paragrafa “L’elusione e l’evasione fiscale sono reati finanziari connessi e incessantemente sotto i riflettori”85.
Ma nulla si specifica nel senso proposto in termini interrogativi, per cui l’unica ipotesi percorribile, in attesa di una presa di posizione di tipo legislativo, sembrerebbe quella di far rientrare queste forme di tax whistleblowing facoltativo all’interno delle denunce in forma anonima che, pur essendo fuori dal meccanismo di whistleblowing previsto dalla l. n. 179/2007, potrebbero essere gestite comunque dal modello organizzativo di cui al d.lvo n. 231/2000, quando risulti evidente da presunzioni gravi, precise e concordanti la gravità e la
https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/ATAG/2019/635589/EPRS_ATA(2019)635589_IT.pdf.
fondatezza delle circostanze di pianificazione fiscale aggressiva denunciate86. Infine, anche i profili sanzionatori sembrano accompagnare verso questa interpretazione, considerando che essi devono essere connotati da effettività, proporzionalità e dissuasività, e che nello schema di decreto italiano di attuazione si prevede che quando la sanzione amministrativa è irrogata nella misura massima può essere disposta la sanzione accessoria della sospensione dell’esercizio delle attività professionali ovvero l’interdizione dalle cariche di amministratore, sindaco o revisore di società di capitali e di enti con personalità giuridica. Altrimenti, rimarrebbe da valutare l’ipotesi che il tax whistleblower si appelli ai criteri Guja elaborati dalla giurisprudenza CEDU, con tutti i limiti ed i condizionamenti già esaminati in precedenza.
CONCLUSIONI
Questa analisi è servita a tracciare l’evoluzione che la disciplina del tax whistleblowing ha percorso negli ultimi anni, rapida, incisiva, invasiva, segno evidente che le questioni di finanza pubblica hanno assunto un ordine di priorità multilivello come mai nella storia, passando da risposte di moral suasion a veri e propri interventi giuridici, gli unici in grado di sanzionare e proteggere laddove la società civile da sola non è in grado di generare anticorpi a sufficienza per superare determinate patologie.
A differenza degli ambiti classici del whistleblowing, nel diritto tributario il diritto di segnalazione è stato introdotto di recente ma era stato già preceduto da un dovere di segnalazione e, ora che anch’esso ha avuto il suo legittimo riconoscimento ai sensi del combinato disposto della l. n. 179/2017 con il d.lvo n. 231/2000, può affermarsi che tutte le possibili fonti di inneschi informativi relativi agli illeciti fiscali, a beneficio dell’Amministrazione finanziaria, sono state contemplate.
Purtroppo l’appetito viene mangiando, e l’estensione del tax whistleblowing anche agli illeciti amministrativi tributari, primo fra tutti in termini pionieristici quello attinente alla pianificazione fiscale aggressiva, da un lato pone nuove sfide in tema di privacy, e dall’altro genera preoccupazione perché lo studio classico del soggetto passivo che finora ha contemplato le figure istituzionali dei contribuenti, dei sostituti di imposta e dei responsabili di imposta, si arricchisce anche dei segnalatori di imposta, i tax whistleblowers con i loro doveri ed i loro diritti. Si tratta di una espansione del diritto tributario verso principi e ragionamenti tipici del diritto penale che potrebbe legittimamente costituire una appropriazione indebita ma che entro i confini tradizionali del proprio orticello pone più di un interrogativo sulle conseguenze in un rapporto Fisco contribuente sempre più complesso al di là della più fervida immaginazione nonché sulla proporzionalità tra mezzi e obiettivi.
In un’epoca di libertà individuali fortemente compresse per via del coronavirus, con una serie di priorità da ripensare sul fronte dell’economia e del benessere della società civile, questo regime di segnalazioni in prevenzione di potenziali elusioni fiscali, aggiunge vincoli di cui si farebbe volentieri a meno, che sviluppano forte il timore della violazione del principio di certezza dei rapporti Fisco contribuente, oggi già ridisegnati dalla recente raccomandazione del Forum on Tax Administration OCSE su come gestire il sistema tributario nell’emergenza Covid, e del principio di proporzionalità tra le informazioni di cui le Amministrazioni finanziarie già dispongono, quelle di cui vorrebbero disporre in predizione da tutti i soggetti passivi del rapporto tributario, e, nel caso le segnalazioni non arrivassero, le relative sanzioni indicate come effettive e dissuasive. Insomma, l’auspicio sarebbe di riflettere sulla opportunità di una sospensione dell’attuazione della DAC 6, rinviandola a tempi migliori e maggiori riflessioni. In alternativa, potrà essere solo la giurisprudenza a trovare quel corretto equilibrio che risponda contemporaneamente ai principi di certezza e proporzionalità.